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  • Immagine del redattoreErik

Esercizio: Sguardi e guardare.



Oggi voglio suggerirti un esercizio sull'arte del guardare.

Guardare in senso profondo e attento.

Guardare come forma di comunicazione di per sé.

Ognuno reagisce a suo modo. Chi non sa dove mettere le mani, chi assume uno sguardo di sfida oppure ostenta un'indifferenza costruita. Ma da dietro la facciata di posture convenzionali trasuda, palpabile, la fragilità delle persone che vengono ritratte. In qualche modo emerge una forma di verità più profonda, che va oltre la superficie che di solito ci mostra chi è abituato a essere un personaggio pubblico. Eppure le vedi. Sono tutte fotografie ridotte al minimo. Stessa inquadratura, stesso sfondo neutro, stessa luce, niente ombre. E allora da dove viene la loro forza? Sembra impossibile, no? Non ci crederai, ma l'elemento chiave della realizzazione di queste fotografie è stato il silenzio. E il tempo che l'ha accompagnato. Si narra che Avedon non abbia proferito parola con i soggetti durante l'intera sessione in cui furono realizzati gli scatti. Tutta la scena era stata predisposta a priori. La macchina di grande formato fissa su un treppiede. L'inquadratura, il fuoco e le luci, tutto sistemato grazie all'aiuto di un assistente che fece da controfigura dei soggetti definitivi. I soggetti, uno per uno, venivano introdotti nello studio da un assistente, che li faceva posizionare sulla base di segni tracciati sul pavimento, dandogli l'indicazione di guardare la fotocamera. Avedon era già lì, pronto a scattare. Guardava il soggetto, passeggiando per la stanza (mentre lui o lei dovevano rimanere immobili). Controllava la fotocamera grazie a un lungo scatto flessibile. Di quando in quando scattava. L'assistente cambiava la lastra della fotocamera. E lo sguardo ricominciava. Per tutta la sessione, neanche una parola. E uno sguardo fisso, indagatore e scrutatore. Magnetico e inquietante. Le immagini sono permeate dell'intensità di questo sguardo. Avedon aspettava di notare un'espressione, una postura, un cenno (anche minimo) che mostrasse un forma di fragilità. Al minimo cedimento scattava, e immortalava quell'attimo in cui la barriera si rompe, lasciando trapelare qualcosa di più intimo. Magari detta così sembra semplice, ma ti assicuro che non lo è. Non è facile sostenere il silenzio e lo sguardo. Non è semplice cogliere, guardando, quel momento di verità. Ed è esattamente per questo che ti propongo di provare. ;) Trova un soggetto che sia disponibile. Qualcuno con cui sei abbastanza in confidenza da potergli chiedere di sottoporsi a una sessione di ritratto di circa un'ora. Non devi dire nulla rispetto allo scopo della sessione. Le uniche indicazioni che dovrai fornire sono che il soggetto dovrà stare fermo in un certo posto (seduto o in piedi, decidi tu) per tutto il tempo, e che dovrà guardare la fotocamera (non te, la fotocamera). Allestisci la scena di ripresa: sistema la fotocamera su un treppiede, organizza l'inquadratura (da solo o facendoti aiutare da un assistente diverso da quello che sarà il soggetto finale), lo sfondo, il fuoco e le luci. Una volta sistemata la fotocamera, non dovrai più muoverla o toccarla. Userai uno scatto flessibile (più lungo è, meglio è) o remoto per comandare la macchina. Se non l'hai a disposizione vedi comunque di non posizionarti dietro la macchina, puoi schiacciare il pulsante di scatto stando a lato. Guarderai il soggetto direttamente, non attraverso il mirino. Una volta che tutto è pronto, fai entrare il soggetto e fallo posizionare. Da ora in poi starai in silenzio per un'ora circa, e non permetterai al tuo soggetto di parlarti. Cerca di mantenere lo sguardo fisso sul soggetto. Con il passare dei minuti inizierai a notare le piccole variazioni di postura o di espressione, movimenti involontari che si trasformano in eventi significativi. Cerca di scattare a ritmo più o meno regolare, una cinquantina di fotografie nell'arco dell'ora. Lo scopo è allenarsi a mantenere la concentrazione sull'atto del guardare. Il silenzio acuirà l'intensità del momento, trasformandolo in una specie di rituale, in cui soggetto e fotografo impersonano il proprio ruolo (non preordinato) in una messa in scena a due. Potrebbe essere uno scontro, o uno scherno, o un gioco di seduzione. Potrebbe essere imbarazzante, o no. Potrà succedere di tutto, ma qualunque sia il risultato ti assicuro che non apparirà mai come un'immagine scattata al volo.

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